Sentirsi soli: riflessioni di uno studente

Movimento NoSlotA cura di Movimento NoSlot | Del 13 Ottobre 2018

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Sentirsi soli è un disagio comune a molti. Quando parliamo di solitudine pensiamo quasi sempre alle persone anziane. In effetti, sono i soggetti più fragili della nostra società, ma oggi chiunque può sentirsi isolato. È triste, però, sentir parlare di solitudine i ragazzi. Giovanissimi che dovrebbero trascorrere le loro giornate in compagnia dei propri coetanei, a studiare, giocare, ascoltare musica, fare sport.

Durante l’adolescenza ci si convince di essere incompresi, ci si chiude a riccio e si preferisce, a volte, rimanere in silenzio nella propria stanza. Si tratta solo di fasi e, in linea generale, tutti noi abbiamo avuto una comitiva di riferimento. Un gruppo, anche piccolissimo, di veri amici. Eppure, adesso sembra quasi impossibile. Durante una delle nostre chiacchierate con gli studenti delle scuole medie e superiori, in cui siamo spesso presenti con i nostri progetti di sensibilizzazione, abbiamo conosciuto un ragazzo molto sensibile, che chiameremo Giordano (nome di fantasia). Le sue parole ci hanno colpito e cercheremo di riportare qui, in sintesi, ciò che ci ha raccontato.

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Photo by Benjamin Davies on Unsplash


È sempre più facile sentirsi soli

Ho 13 anni, ho tanti interessi, ma nessuno con cui condividerli. In classe non sono riuscito a fare amicizia, forse perché sono timido. Mi piace studiare, la mia materia preferita è la matematica. I miei compagni mi cercano solo per copiare gli esercizi, prendono i miei quaderni dallo zaino e non mi dicono neanche grazie. Non so perché. Io li aiuterei volentieri, a volte ho invitato il mio vicino di banco a casa mia, ma ha sempre rifiutato. Secondo lui sono noioso. Tempo fa ho visto che in tasca aveva alcuni Gratta e Vinci. Ho chiesto: “Cosa te ne fai?”. Ha iniziato a ridere, mi ha detto che non capisco niente, che non diventerò mai ricco. Ma io non voglio diventare ricco. Cioè, non voglio diventare ricco con l’azzardo. So che tante persone hanno rovinato la loro vita con questi “giochi”, con le slot.

A me piace giocare a tennis, i miei compagni giocano a calcio e non mi invitano mai. I miei genitori non vogliono ancora che io abbia lo smartphone. Anche per questo sono sempre solo. Mi guardano tutti strano. Durante l’intervallo passano il tempo a inviare messaggi, ridono, prendono in giro i professori. È sempre più facile sentirsi soli. A me piacerebbe chiacchierare, parlare di libri, di musica. Queste cose interessano poco, perché? Perché devo imitare gli altri per essere accettato e non posso essere me stesso?

Caro Giordano, ce lo chiediamo anche noi. Ci chiediamo come sia possibile che una classe di giovanissimi studenti sia così divisa. Ci domandiamo perché a 13 anni si senta il bisogno di acquistare Gratta e Vinci e si preferisca incollare gli occhi sullo smartphone piuttosto che parlare con gli amici.

Soprattutto, ci preoccupa constatare che in questo mondo in cui la tecnologia ha apparentemente facilitato le interazioni sociali, nella realtà dei fatti ci ha separati. Dobbiamo riscoprire il piacere di stare insieme, di conoscere l’altro veramente. E, per fare questo, è necessario trovare il tempo per ascoltare…


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